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Primo Piano

PROF TANO PANTANO, UN AFFETTO SEMPRE VIVO

PROF TANO PANTANO, UN AFFETTO SEMPRE VIVO
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di Nicola Belfiore

È sicuramente impegnativo parlare del prof. Tano Pantano, fosse solo per le molteplici attività che ha svolto nella sua vita e per il numero di persone e comunità che ha coinvolto nel suo operare, dalla scuola alle collaborazioni industriali, dall’attività editoriale con Auto d’Epoca, dove era senza ombra di smentita una persona con grande ed alta competenza, ai suoi numerosi hobby, alla passione per la fotografia, alle ricerche e pubblicazioni sull’Argimusco. Un mondo che si era costruito col suo sapere, con le sue capacità e con la sua intraprendenza. Un mondo che spesso lo ha gratificato e tante altre volte deluso. Odiava le contaminazioni, da quelle atmosferiche a quelle acustiche ed infine quelle tecnologiche. Nella sua tasca, da sempre, il cellulare era lo stesso o simile al primo, solo per chiamare e ricevere, null’altro, nessuno smartphone lo ha mai entusiasmato e convinto: “a cosa serve il telefono Nicola, fatti sempre questa domanda”. Anche l’uso di internet, che lo affascinava per le infinite potenzialità, era controllato e limitato. Potrei andare avanti per ore nel tentativo di descrivere la poliedricità e l’ecletticità del prof. Tano Pantano, mi limiterò, invece, all’aspetto affettivo, quello che lo vedeva amico prima con mio papà, per l’amore comune verso la fotografia, e successivamente con me. Frequenti erano le discussioni affrontate nello studio fotografico e ogni volta era per me un arricchimento culturale attraverso aneddoti e narrazioni che sconoscevo. Nella caratteristica delle sue lunghe telefonate o nelle discussioni fiume che facevamo allo studio, faceva emergere il suo affetto nei miei confronti e l’animosità per il mio operare politico e il mio espormi, senza veli, che spesso criticava nel tentativo di proteggermi dai giudizi affrettati della gente. La sua collaborazione per Montalbano Notizie ha cementato la nostra amicizia e, nel periodo della mia direzione editoriale, aveva sempre vivo quel senso di protezione. “Nicola, sei a Montalbano?”, questo l’incipit di una delle sue tante telefonate seguite dal suo: “Sto arrivando, così parliamo un po’”. Partiva da Barcellona per il piacere di condividere del tempo e discutere di problematiche su Montalbano che lo preoccupavano particolarmente. Nei periodi lunghi in cui non si faceva sentire, lo chiamavo e puntualmente il suo silenzio coincideva col suo stato di salute non al massimo. Molte le processioni del 24 agosto con la sua costante presenza al mio fianco cercando di cogliere, con l’obiettivo dell’inseparabile macchina fotografica, momenti diversi di una processione sempre uguale nel suo svolgimento. Fotografare assieme negli eventi più importanti del nostro paese era oramai tradizione. Nulla sfuggiva al suo obiettivo e nel suo essere generoso, ai montalbanesi e non solo, ha regalato migliaia di foto senza chiedere nulla ma solo donando e strappando un sorriso. Ricordo, a seguito di profonde delusioni per l’ingratitudine dell’animo umano, i suoi buoni propositi di fermezza che crollavano, invece, di fronte alle suppliche della gente nel chiedergli costantemente cortesie e favori. Il suo entusiasmo mi coinvolgeva spesso e mentre parlava i suoi occhi brillavano come un ragazzino, si proiettava sempre avanti col pensiero e nella sua mente prospettava soluzioni e progetti utili ad una intera comunità. Negli ultimi anni della sua vita, non si accettava per le condizioni di salute in cui versava. Questa consapevolezza costante a volte lo allontanava dagli amici, dai suoi sogni e dall’entusiasmo che essi generavano. Per lui – che era così dinamico, intraprendente, eclettico e incontenibile, che amava la vita a tutto tondo e nello svolgere della stessa ha cercato di non perdere tempo e di non lasciarsi dietro nulla di ciò che voleva e sentiva di fare – il solo vedersi incerto nel camminare era già motivo di sofferenza e introspezione. “Vedi Nicola, le mie foto, i documenti e quello che ho nel mio computer a chi devo lasciarli un domani se non a te?” Ripeteva spesso questa frase col suo solito sorriso sulle labbra. La mia risposta era sempre la stessa: “pruvissuri, mi si priga a saruri” e lui puntualmente rideva.

L’uomo non acquista importanza col suo avere ma nel modo di costruire gli affetti e mantenerli vivi nel tempo. Un costante sentire, manifestare e condividere che lo rendono sempre vivo e presente anche quando verrà a mancare. Non è facile vivere con coerenza affettiva ma il prof. Tano Pantano ce l’aveva per Montalbano e per tutto ciò che esso ha rappresentato, nel bene e nel male, nella sua vita. Per il nostro paese ha dato tanto e ricevuto poco. Mi auguro che si possa pensare, tra qualche anno, a qualcosa che possa ricordare, alle generazioni future, il suo amore e la grande generosità per il territorio in modo del tutto disinteressato.

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