
di Nicola Belfiore
Si sa che il nostro giornale raccoglie anche gli “umori” di piazza e, da sempre, ha fatto da cassa di risonanza per chi, lontano dall’ombra del castello, ci segue con grande affettuosità. Spesso veniamo avvicinati da chi ci segnala disservizi, malumori e lamentele; riceviamo mail e segnalazioni, insomma, siamo vivi in un paese che muore. Tutto questo ci gratifica rendendo il nostro ruolo giornalistico piacevole e più “pubblico servizio”. Abbiamo diffuso lettere e articoli giunti in redazione, lasciando ampio spazio a tutti senza censura alcuna. Abbiamo dato vita a deduzioni e opinioni, dicendo la nostra quando occorreva o facendoci interpreti di pensieri altrui. Dopo le elezioni del nuovo sindaco, tante voci si sono sedate, si sa: “scuva nuova fa scrusciu”. Mesi e anche anni di totale silenzio. Gli intransigenti del passato avevano deposto ogni ascia di guerra e si erano accodati, senza salire (non c’erano più posti), al carro del vincitore, sussurrando a volte timidamente qualcosa che magari era fuori dalle loro aspettative. Man mano che il carro camminava, però, qualcuno si defilava mentre altri, che si erano aggrappati con le unghie già da subito, hanno raccolto tutte le forze per montarci su stravolgendo, così, le proporzioni di chi seguiva e mitigando, nel contempo, un po’ dell’entusiasmo iniziale che via via si è trasformato in richieste perentorie, evase o meno. Così, noi della redazione, ci siamo nel frattempo dedicati ad altro. Da un po’ di mesi a questa parte, però, le cose sono leggermente cambiate e tanti, di quelli non più a seguito del carro, ci fermano con sistematica frequenza per raccontarci della via Etna perennemente rotta, delle fuoriuscite dal manto stradale di acqua potabile in più punti del paese, di bagni pubblici che non funzionano, di vie che dovrebbero cambiare nome, di erbacce e abbandono di rifiuti in pieno centro storico, della scuola ancora non completata, degli stipendi che sindaco ed assessori si sono aumentati, della strada del cimitero perennemente piena di buche, della strada di “Fontanapomo”, da tempo non più percorribile, della TARI che con la differenziata doveva diminuire ed invece arrivano “papelle” da rabbrividire, ecc. ecc.. Insomma, non è cambiato nulla. Come è possibile? Apparentemente potrebbe essere questa l’impressione. Per me, invece, è cambiato tanto e, senza andare a specificare cosa, mi limito solo ad osservare alcuni risvolti, purtroppo negativi, che con sconforto e amarezza registro, senza entrare nel merito dell’operato amministrativo. Per me il problema è a monte, molto a monte. A Montalbano non esiste più alcuna corrente di pensiero, non ci sono opinioni, critiche, confronti, indignazione e reazioni. Si parla limitatamente ad un riscontro personale, a un torto subito o ad aspettative disilluse, dimenticando la coscienza comune, la pubblica opinione, le tendenze culturali che, a torto o ragione, portano a pensare, a mettersi in gioco e a mantenersi vivi. Oggi a Montalbano impera il lassismo, il lascia perdere tanto non cambierà mai nulla o ancora peggio quel tipico atteggiamento di totale resa, esplicitata con la frase di uso comune: “e chi ci vuoi fari”. C’è una sorta di malessere sociale non definito, un’inversione di ruoli, una miscellanea di classi sociali e competenze, che spesso non ci sono, pur occupando ruoli nodali per un paese oramai alla deriva. Manca quella coscienza popolare che decenni addietro faceva la differenza, quella partecipazione comunitaria che discuteva e faceva discutere, quella sensibilità di appartenenza ad un territorio che si cercava di salvaguardare e valorizzare. Oggi, in questo silente panta rei, ognuno si è chiuso a riccio salvaguardando il personale interesse senza alcuna appartenenza sociale. Non si esce neanche in piazza, nonostante le belle giornate invernali o i periodi festivi. Ci accontentiamo di leggere sui social, oramai cloache di pensiero, le pubblicazioni a vanto dell’amministratore di turno di mega mangiate o di manifestazioni popolari. Manca, per dirla alla Battiato, un “centro di gravità permanente”, quello aggregante che dovrebbe identificare ruoli e mansioni a fronte di competenze certe ed elaborazioni culturali di livello. Oggi basta avere per essere, un paradigma che anche la rete ha fatto suo amplificandolo a dismisura in una non cultura globale ma sensazionalistica, degradata e degradante, che ci ha portato, come lo stesso Papa Francesco dice, alla “putrefazione dell’anima” e, aggiungo io, anche di pensiero.