di Carmela Pantano
L’editoriale è uno spazio “nostro”, una nicchia di questo giornale, un luogo non sempre facile da riempire, con pensieri, fatti, ragionamenti. Ai Lettori di Montalbano Notizie la pagina dell’Editoriale piace, da sempre. A chi scriveva molto di più, quei 5000 caratteri mensili, negli anni, sono stati per i Direttori le parole da usare a nostro piacimento, quelle da far ballare al suono della nostra musica. Questo spazio-luogo-nicchia virtuale lo abbiamo un po’ messo da parte, se non per qualche eccezione, perché la “lingua” dell’Editoriale è un po’ diversa rispetto alle altre utilizzate altrove, ha radici che si diramano un po’ dappertutto, difficili da seguire in un posto così virtuale come quello in cui abbiamo scelto di muoverci nel nostro nuovo corso. Noi ci proviamo, torna questo spazio, come un tempo, con la meravigliosa cadenza mensile, chiuderemo i mesi, sperando di fare cosa a voi gradita.
Le etichette sono ciò che di peggiore esista al mondo. Si incollano addosso alle persone, alle categorie, ai contesti, a definire ogni azione, aspettandosi cosa ciascuno farà, dirà, senza possibile margine di cambiamento o miglioramento. L’etichetta è quella, scritta, punto e basta, incollata, stampata sulla pelle, come i tanti marchi che troviamo sugli scaffali dei supermercati. Gli adolescenti di oggi fanno parte di un ben preciso pacchetto: indifferenti a tutto, privi di passioni, quelli che danno del tu a chiunque, che ascoltano canzoni con testi incomprensibili, che vivono di, per e con i social. Etichette, categorie, preconcetti, linee nette di confine definite, il più delle volte, da chi non ha alcun contatto con loro o si pone nel loro confronti come giudice supremo e non come curioso scopritore di mondi nuovi.
Qualche settimana fa un cantante molto amato dai giovani ha detto “Stop al genocidio”. In mezzo a canzonette, fiori e lustrini, un ventenne ha deciso di usare quella platea mondiale per dire la sua. Organi televisivi, gruppi religiosi, compagini politiche sono insorte chiedendosi come fosse possibile tutto ciò. Un ventenne Pasolini, più di 70 anni fa scriveva: “La guerra non mi è mai sembrata tanto schifosamente orribile come ora: ma non si è mai pensato cos’è una vita umana?”. Quale differenza con il giovane Ghali se non i legittimi pensieri di chi vive nel presente e sa che farà parte del futuro.
Qualche giorno fa degli studenti di Pisa in corteo sono stati presi a manganellate, attaccati, colpiti, spinti, feriti, perché hanno organizzato una manifestazione per protestare contro la guerra in Palestina. Un lunghissimo serpentone, rimasto imbottigliato in una strada stretta, con le felpe enormi, gli ombelichi scoperti, gli short corti, i jeans strappati, a dire, con il proprio linguaggio, suoni e colori, che non si può rimanere indifferenti di fronte ad una striscia di mondo dove, in due anni di guerra, vi sono stati 30.000 morti, di cui la metà bambini. Alcuni di loro, probabilmente, non sapevano neppure dove si trovasse la striscia di Gaza ma la libertà della diffusione della parola e del pensiero non può avere muri e scudi, solo porte spalancate e porti aperti verso ogni direzione.
Via le etichette, via le categorie: questi ragazzi hanno parlato, detto, protestato, ideato ma sono stati non capiti ed attaccati, come se, per la loro appartenenza, altri (chi?) si fossero arrogati il diritto di dire loro che quelle parole e quella protesta non gli spettava, perché l’etichetta era un’altra.
Basterebbe solo scoprire la scintilla, nascosta in ciascuna giovane mente, nascosta dietro altro, per leggere e capire. Diciamo che sono rimbambiti, incapaci di alzarsi da un letto morbido e lindo e, quando alzano i loro corpi o le loro voci, li prendiamo a colpi di manganello. Una chiusura mentale totale, un atto di violenza ingiustificato mosso dalla macchina delle etichette attaccate, spesso solo proiezioni di sé, dei propri fallimenti e rimpianti, in grado, però, di spezzar le gambe al futuro.