di Carmela Pantano
Ieri, con un comunicato, il sindaco di Montalbano Filippo Taranto, ha ringraziato gli organizzatori della caccia al tesoro per la pazienza dimostrata negli ultimi giorni. Hanno collaborato, accettato prima la sospensione, poi l’annullamento di una manifestazione a cui lavoravano con passione da mesi. Ho visto e ascoltato l’attesa con cui i giovani di questo paese aspettavano la caccia, un momento da sempre loro, fatto di libertà, di giochi, di sfide, di una notte fuori casa, con gli amici, con la voglia di arrivare primi o, semplicemente, di condividere un qualcosa con altri. Quest’anno la lista degli oggetti inviata alle squadre il giorno prima, aveva dato il via ai giochi, fatto assaporare la sfida di trovare prima di altri un ghiro vivo, il libro di Romeo e Giulietta, l’oggetto che dava ben 80 punti, quelli impossibili da trovare, quelli che solo nelle cantine dei nonni si possono andare a cercare. Hanno accettato che questo gioco finisse prima ancora di cominciare davvero, lo hanno fatto, delusi, tristi, imbronciati ma lo hanno fatto. Perché da due anni non fanno altro: accettare. Decisioni prese da altri, da un mondo di adulti che impone loro scelte, limiti, divieti, obblighi. Lo fanno, i più, accettano, ubbidiscono.
Ho imparato a non giudicare le generazioni, a non attribuire saggezza a prescindere agli adulti, incoscienza agli adolescenti, superficialità ai bambini, ho sentito fare a esseri che sono a questo mondo da pochi anni ragionamenti degni del più grande filosofo ed adulti dire idiozie degne di un asino, per cui non inserisco nessuno in categorie, fatte spesso di preconcetti, di etichette e idee da partito preso. Ogni tanto bisogna semplicemente mettersi nei panni altrui e rendersi conto di cosa provano coloro che stanno iniziando una vita a vedere la propria vita bloccata, in tutto e per tutto. Gli hanno tolto la scuola, perché quello schermo, davanti a cui si rincoglioniscono, tutto è ma, sicuramente, non scuola. La scuola la fanno i muri dell’edificio, i minuti di attesa prima di entrare, il viaggio sui mezzi, l’intervallo nei corridoi o al bar, le pagine sfogliate velocemente prima di un’interrogazione, lo sguardo degli insegnanti, la distrazione mentre dietro la cattedra si spiega, la furbizia di scansarsi i compiti e le interrogazioni, le giustificazioni assurde. Tutto questo e tantissimo altro ancora, non certo il numero di giga, il tipo di PC, la postazione dad ultima generazione. Gli hanno tolto le serate nei locali, la voglia di formarsi i primi muscoli frequentando una palestra, di vedere per strada, non attraverso una video chiamata whats app, i loro primi amori, di andare allo stadio o a vedere un concerto. E tutto il resto, il poco che rimane, è stato comunque pieno di limiti, di paura, di apprensione. Ho visto bambini entrare in depressione per i mesi trascorsi davanti ad uno schermo, terrorizzati all’idea che una cosa del genere potesse tornare, annientati dal pensiero che qualche persona cara potesse essere contagiata. Gli anziani hanno perso la vita, ferita insanabile per la nostra terra, i giovani hanno perso l’inizio di una vita, momenti che nessuno potrà restituire loro, perché non si sa quando tutto questo finirà e perché ogni cosa si fa in un dato momento, in una data età, in un dato modo, non prima né dopo, come un cartello che si ha la possibilità di vedere solo a quel chilometro di una lunga strada che non si avrà più la possibilità di percorrere.
Nessuno restituirà a questi ragazzi tutto ciò che hanno perso. Le conseguenze della dad, dei visi mascherati, delle narici allargate, delle quarantene, andranno ben oltre un virus perché, quando questo sarà finalmente sconfitto, sulla loro pelle ci saranno ancora i buchi di ciò che non hanno vissuto. Non li giustifico per la loro incoscienza ma non li condanno per la voglia che hanno di tornare ad una normalità, in un mondo di adulti che, forse, ha dimenticato quanto importanti siano, non solo gli anni, ma anche gli istanti, i minuti, i secondi di quell’età. Li ammiro perché accettano, a malincuore, ma accettano. Perché i ragazzi della caccia al tesoro hanno accettato ed accolto il divieto del sindaco, perché un ragazzo di 12 anni in quarantena si affaccia dal terzo piano di un balcone, per acchiappare al volo un gelato e, con il sorriso più bello del mondo, dice di respirare un secondo di libertà. Non condanno chi dopo un vaccino di cui non si conoscono ancora le conseguenze, mesi di lezioni online, un anno di mascherine, vuole farsi una partita a calcetto all’aria aperta o andare ad una festa di compleanno di un amico. Perché è la vita che gli abbiamo tolto e, probabilmente, quella che permetterà loro di respirare.
Non mi piace dedicare ciò che scrivo a qualcuno, credo che sia abbastanza limitante farlo e penso che di acqua sotto i ponti dovrà ancora scorrerne tanta prima di farlo. In questo caso, però, questo semplice pensiero, in un momento molto complicato per la nostra comunità, è per i giovani positivi e per gli oltre 50 ragazzi di Montalbano che trascorreranno il 24 agosto in quarantena nelle loro case. Con incondizionata ammirazione per la vostra età, per quello che questo mondo vi sta togliendo e per i giudizi che spesso vi piovono addosso da una generazione di adulti che dovrebbe solo chiedervi scusa.