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Primo Piano

La catena della vita

La catena della vita
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di  Carmela Pantano

Inizio dalla cosa più importante: grazie. A chi ha telefonato, scritto, mandato messaggi, chiesto ai miei famigliari, a chi è venuto a trovarmi, a chi mi ha mandato un messaggio al giorno che ho ritrovato al risveglio, a quanti hanno, nei più svariati modi, voluto essere vicini alla mia persona.Vi ricordate la scena del film “Santocielo” in cui Valentino smista i vari messaggi arrivati a Dio dalla terra? Ecco, avete intasato il centralino del Paradiso, così tanto che Dio ha dovuto dare un’occhiata e, dopo il gemellaggio tra  il piccolo Sant’Efisio, il più potente santo della Sardegna e la nostra maestosa Madonna della Provvidenza, e le minacce di mia nonna Maria che brandiva il cucchiaio di legno che usava per cucinare le polpette, l’Altissimo ha deciso che era il caso di lasciarmi su questa terra ancora per un po’. Così Dio è andato da San Pietro e gli ha detto di costruire una catena. Io sono ancora qui grazie a questa catena, una serie di azioni svolte da persone  che c’erano, nel momento giusto, nel luogo giusto, che erano preparate, stavano svolgendo il loro lavoro, sapevano cosa fare, non hanno avuto paura, non si sono tirate indietro. Bastava intervenire 30 minuti dopo e, mi è stato detto, non ce l’avrei fatta. Siamo all’inizio della catena: non essere ritrovata subito, esitare nel prendere le decisioni, aspettare l’ambulanza ed evitare i rischi dell’auto, un altro codice rosso in corso a Patti, il primario non in grado di arrivare di notte, nell’arco di pochi minuti. Un nodo, un inceppo, una falla nell’ingranaggio. 30 minuti: game over. E dopo questi iniziali momenti, via di seguito per 15  giorni, un anello dopo l’altro. La sanità siciliana è un disastro, dicono… eppure al pronto soccorso di Patti, il primario Fabio Crescenti  e gli altri medici hanno svolto un lavoro esemplare, gestendo quattro ore di un difficile intervento salvavita… eppure la rianimazione  del Policlinico di Messina è all’avanguardia, con macchinari, strumenti, professionisti, fra questi un figlio della nostra Montalbano, il dott. Gianfranco Lenzo che ringrazio, tutti giovanissimi, preparati, garbati, medici ed infermieri che sono rimasti qui, per creare in Sicilia un polo d’eccellenza che non ha nulla  da invidiare ad altri… eppure il reparto di chirurgia del Policlinico mi ha accolto, in una condizione di degenza non facile,  ribattezzata Pantano il politrauma e rimessa in sesto.  Altri anelli della catena, uno dopo l’altro, a sistemare i vari pezzi dell’ingranaggio. Qualche pezzo l’ho perso in maniera definitiva, qualcuno è in corso di sistemazione, parecchie cicatrici, tanti dolori ma la macchina  funziona.
La vita è un gomitolo ingarbugliato, se fosse una linee retta sarebbe semplice, si vedrebbero le ombre, non ci sarebbero angoli, punti oscuri, la casualità è il più grande mago, ci sottoponiamo ai giochi del destino dal momento in cui al mattino mettiamo la caffettiera sul fornello, fino alla sera in cui giriamo la chiave della macchina in garage. Se si potesse sapere quello che il fato ci riserva, le nostre vite sarebbero perfette. Ho letto, ho ascoltato le opinioni su quanto accaduto,   si parla si dice si ipotizza sempre, …con la milza degli altri. Qui non c’è nulla di eroico, il mio concetto di eroe è il mio papà che a 90 anni pianta le melenzane per vederle fiorire.
Tutto questo per un cane. Ecco il punto. Basta spostare l’attenzione e l’oggetto per capire che, nella mia totale convinzione di non essere in pericolo, lì non c’era un animale ma io. Ciascuno è come è, il proprio carattere, natura, educazione, storia, portano ad essere in un dato modo che può essere giusto per alcuni e sbagliato per altri ma è quello. Lì c’era la vita, il non girarsi mai, il provarci sempre. La ferma convinzione che l’indifferenza sia il più grande cancro della terra.
Torniamo alla catena. Non ho pianto in questi giorni, mai. Il corpo è una macchina, l’attenzione della mente deve essere concentrata sulla cosa più importante, guarire, non sulle lacrime. Capire le priorità, procedere risolvendo una cosa prima e l’altra dopo. Non serve lamentarsi per il dolore perché tanto il lamento non lo fa passare, anzi la situazione peggiora perché poi ti manca anche il respiro.
A sorreggere questa catena della vita in tutta la sua lunghezza e pesantezza e per tutta la durata, a far sì che quell’inceppo iniziale di 30 minuti non ci fosse, due angeli custodi, uno accanto all’altro, Nicola Belfiore e Filippo Taranto, senza di loro, questa storia io non l’avrei mai scritta né letta. Grazie per aver avuto Cura di me, miei Esseri Speciali.

 

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