
di Carmela Pantano
In un libro per ragazzi sulla storia del cinema, si legge: “La gatta mosse la coda e iniziò così il fantastico viaggio”. È questo il cinema, un nulla che diventa tutto, che può portare in ogni luogo ed in qualsiasi tempo. Dove ciascuno diventa altro rispetto a quello che è, dove ogni cosa del futuro può essere immaginata ed ogni cosa del passato ricreata. Non esiste limite alcuno, il cinema ed i libri non smetteranno mai di avere la capacità del racconto, fin quando almeno esisterà la vita.
È stato molto strano vedere Montalbano Elicona trasformarsi, per circa 10 giorni, in un set cinematografico, vedere lo spettacolo dall’altra parte, osservare quella macchina immensa, perfetta, priva di sbavature che è nata intorno a noi. Un centinaio di persone, ciascuno con un ben preciso compito, in grado di trasformare i movimenti e le parole di Ficarra, Picone, Maria Chiara Giannetta, Barbara Ronchi, Mimmo Mignemi e le immagini del regista Francesco Amato in arte cinematografica.
Non si può dire nulla, né pubblicare la trama, né è stato possibile fare, ahinoi, delle interviste ai protagonisti o foto delle scene durante le riprese, perché queste erano le direttive. Ed è giusto così. Per i più, il 14 dicembre, data di uscita del film “Santocielo” in tutte le sale d’Italia, sarà un’autentica sorpresa e chi era presente in scena metterà insieme i pezzi di una storia fino ad allora conosciuta solo in parte. Perché tantissimi montalbanesi hanno partecipato, dopo aver superato i provini che si sono tenuti in paese nei primi di giugno, alla ricerca di una ben precisa tipologia di persone, gli ultra sessantenni, hanno indossato gli abiti di scena e recitato la loro parte, accanto a volti meno noti e noti, visti in tv e al cinema, in film e serie tv di successo, dal Commissario Montalbano, a Don Matteo, alla ricca filmografia di Ficarra e Picone. Ovviamente quando vedremo il film, mentre per gli altri spettatori saranno solo personaggi comuni di una grande scena, noi riconosceremo i nostri volti e, non “tutti”, ma qualcuno è stato spettacolare.
Le riprese duravano ore ed ore, fino alle due, tre del mattino, a ripetere decine e decine di volte le stesse parole, movenze, sguardi, tempo che poi verrà passato al setaccio, per ridursi a pochi secondi di film. E Montalbano si è comportato bene, tutti sono stati accolti, tutti hanno trovato ciò di cui avevano bisogno, come solo noi montalbanesi siamo in grado di fare con gli “stranieri”. Il cast è stato gentile, divertente, cortese, gli operatori attenti e garbati. Ciascuno faceva il loro mestiere e non avevano motivo di farlo in maniera diversa perché in quel dato momento si trovavano nel profondo Sud ed in cima ad un piccolo paese fra i monti.
Immagino che il 14 dicembre le sale d’Italia saranno invase dai Montalbanesi sparsi in ogni luogo e questo sarà bello, come tutte le cose che uniscono intenti ed azioni. Saranno sorpresi, divertiti, emozionati, nel vedere ciò che è da sempre intimamente nostro, su uno schermo, condiviso con altri che di fronte avranno solo scene di un film ed attori. Magari nelle presentazioni del film i due comici palermitani diranno che hanno girato a Roma, Catania e, pensate un po’… Montalbano Elicona. Ed il nostro petto si gonfierà.
Non so cosa rimarrà, quanto riusciremo a “sfruttare” questo momento, se ci perderemo in un bicchiere d’acqua o se faremo quello che ha fatto Punta Secca con il “Commissario Montalbano”, la spiaggia di Pollara a Salina dopo il film “Il Postino” o la località di Makari con l’omonimo film. Dipende da tante cose, capacità, uomini, tempi, modi, fortune e scalogne.
Una cosa, però, rimarrà di certo. Queste persone, dei professionisti, hanno visto qualcosa in ciò che noi siamo abituati ad avere sotto gli occhi tutti i giorni e consideriamo normale, banale, scontato. Ci hanno fatto vedere degli angoli del quartiere Matrice che sono meravigliosi sempre, non solo quando sono dinnanzi ad una telecamera. “Anche se dipingo una mela, c’è la Sicilia”, diceva Renato Guttuso, così è per chi la vede da lontano, riuscendo a farla diventare ricchezza culturale, come fanno Ficarra e Picone che portano in scena il loro mondo ed i loro attori, facendo emergere sempre, dietro la comicità, anche le scomode verità della sicilianità, basti pensare a “L’ora legale” o “Andiamo a quel paese”. Ancor più di questa capacità di vedere ciò che abbiamo, mi auguro rimanga anche un’altra cosa: l’aver trasformato, ciò che è, in altro, ciò che ciascuno è sempre stato, in qualcosa di diverso, come se nulla fosse già deciso, scritto, prestabilito. Un bel messaggio, magari, per il futuro dei nostri luoghi. Dopo tutto… la gatta ha semplicemente mosso la coda.