di Nicola Belfiore
Era tarda sera quando una concitata telefonata mi ha messo al corrente di un doloroso evento che avrei voluto non sentire mai: “Federico non è più con noi”. Attimi angoscianti, tragici, di totale confusione mentale. Ho cercato inutilmente una via razionale che potesse aprire un varco in quella tenebrosa oscurità generata da una così dolorosa notizia. Non c’è apparente spiegazione logica a questo manto di sofferenza che ha tragicamente avvolto Federico. Mesi di ospedale che a volte facevano sperare ed altre sprofondare nell’angoscia più totale. Mi chiedo se si è arreso al suo destino o lo ha combattuto fino in fondo senza riuscirci. Chi ha assistito a tutto questo, magari tenendogli la mano o parlando sottovoce in una forma di disperata preghiera, è rimasto inesorabilmente chiuso nell’angolo dell’impotenza, dal quale non si esce quasi mai. Unica speranza che affiora, da un così devastante dolore, è il ricordo che sempre di più racchiude l’essenza della nostra esistenza. Allegro, solare, educato e garbato. Pacato nei toni e umile nel suo operare. In punta di piedi è entrato in questa vita, coccolato dall’affetto dei genitori e della sua famiglia, per realizzare i suoi sogni, come quello di insegnare: avere la possibilità di porgere il suo sapere a menti recettive e disponibili. Si, proprio porgere, nessuna imposizione ma solo la condivisione con altri giovani, come lui, che lo hanno voluto ricordare come un docente diverso, con cui si sono confrontati alla pari e dal quale hanno ottenuto conoscenze e competenze. A Federico, però, non è stato concesso quel tempo necessario per andare oltre nella vita respirandola appieno per costruire il suo futuro, così come ogni uomo spera legittimamente di conquistare. Oggi, aprendo gli occhi su questa nuova realtà che ha sconvolto un’intera comunità, vediamo una famiglia distrutta che, nella compostezza di un così grande dolore, ricorderà per tutta la loro vita ogni singolo respiro di Federico, chiedendosi il perché di questo terribile tornado di sofferenza e dolore che lo ha portato via. Nei loro animi il vuoto incolmabile ed inconsolabile. Se nel tempo, sul loro volto ci sarà un accenno di sorriso o un barlume di gioia, saranno perennemente velati dalla sofferenza, quella intima, che non si può condividere con nessuno ma custodire con amarezza in se stessi perché, in un crudele equilibrio, è proprio quel dolore che ci ricorda la felicità di aver vissuto, per quel po’ che ci è stato concesso, con la persona che più di altri abbiamo amato e ameremo per sempre. Ho visto, infine, negli occhi del nonno, colmi di lacrime, la fine inesorabile di una speranza che gli ha dato sempre la forza per andare avanti. Il suo Federico, punto fermo del suo sentire e delle sue stesse forze, non ci sarà più nel suo domani ed appoggiarsi ad altri sarà estremamente difficile se non impossibile.
“Il mio discorso più bello e più denso esprime con il silenzio il suo senso”.