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In Paese

Arristavu senza ciatu – seconda parte

Arristavu senza ciatu – seconda parte
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di Casimiro Bellone

…  Adesso non erano soltanto i miei occhi ad essere annebbiati dal sudore che cuntinuava a calari da frunti, ma puru u cirivieddu ormai s’avia nfruscatu. Soltanto qualche istante di smarrimento e, anche se balbettando, trovai la forza di riproporre la mia richiesta: “Ci vulia addumannari n’anticchia i ghiacciu”. “No, mi rispiaci, u ghiacciu mi finiu puru a mia, staiu aspittannu a Don Giuvanni chi mi l’avi a purtari”. Don Giovanni era un tizio che, con il suo carrozzone cassonato, chiuso come un moderno furgone frigorifero, giornalmente faceva il giro della borgata per portare grossi pezzi di ghiaccio necessario per le ghiacciaie dei suoi clienti abituali. Una volta detto che non poteva aiutarmi, la signora Carmela stava per ritornare al suo da fare, ma non potevo rischiare di chiudere lì il discorso, perciò, preso il coraggio a due mani, le posi una nuova domanda: “Ma chi sta ‘mpastannu a farina pi farisi u pani, o i maccarruna pi so maritu?”. “E tu picchì u voi sapiri?” – rispose con un velato ma invitante sorriso – “U pani u fici du iorna ‘ntarrieri. Uora staiu faciennu i maccarruna e mi staiu faciennu pi mia. Capivu, risposi e lasciai cadere il discorso, ma lei continuò: Me maritu a travaghiari a Carini è, e pi na para di jorna nun torna”. A quelle parole non so cosa mi passò per la mente: a sedici anni pensi che tutto il creato, le sue creature e le sue bellezze siano state messe lì affinché l’umanità ne potesse godere, che il creatore le abbia donate agli esseri umani per rendere la vita terrena accettabile e bella; a sedici anni credi di poter prendere tra le tue mani tutto ciò che ti piace, che desideri, che vuoi. Io in quella risposta ebbi l’impressione di cogliere un troppo celato invito, così non ci pensai su due volte e, anche a rischio di prendermi na gran lavata di testa, se la signora Carmela l’avesse detto a mio padre, con un implorante ed innocente sorriso le chiesi “Ma un piatticieddu pi mia un ci fussinu?”.

Nei momenti successivi mi convinsi che lei aveva capito. Sì, aveva capito che nelle sue parole avevo colto un invito e, mentre con la mano sporca di farina si passava il fazzoletto su quel suo meraviglioso petto, per asciugarselo, con quel suo velato e ammaliante sorriso rispose: “E picchì nò! Stasira versu l’ottu fatti avviriri”, quindi si girò e tornò al suo lavoro.

Dopo quell’invito non vedevo l’ora si facesse sera. Quelle poche ore che mi separavano dall’incontro con lei le passai pensando come comportarmi, cosa avrei dovuto dirle o cosa avrei potuto portarle. La porta l’avrei trovata aperta o avrei dovuto bussare? E se qualcuno mi avesse visto? Mille domande continuavano a frullarmi in testa tormentandomi, fin quando guardai l’orologio e vidi che all’appuntamento mancava soltanto qualche ora appena. Porca miseria! è già tardi pensai, quindi mi chiusi in bagno per darmi una bella ripulita. Mi sbarbai, feci la doccia e diedi una sistemata ai capelli, in verità un po’ troppo lunghi. Dall’armadio tirai fuori un paio di pantaloni neri, una camicia bianca attillatissima e dei mocassini neri. Intanto, immaginando già la nuova esperienza che stavo per vivere insieme alla Signora Carmela, la mia mente lavorava senza sosta. Un ultimo sguardo allo specchio, volevo che tutto fosse in ordine. I capelli, lucidi per la troppa brillantina, erano perfetti, compiaciuto mi complimentai con me stesso, sembravo uno dei tanti attori che si vedevano stampati sul settimanale che leggeva mia zia. A proposito, stavo dimenticandomi di mia madre che, sempre in ansia e sospettosa, vedendomi agghindato e un tantino agitato più del normale, mi chiese dove avevo intenzione di andare. Fortunatamente la scusa non mancava mai, e la poverina tante volte credeva a tutto ciò che le dicevo: “Tranquilla mà, con Michele andiamo a mangiare una pizza e forse poi andiamo al cinema”. Lei annuì, ma sono certo che non credette una sola parola. Superato lo scoglio rappresentato da mia madre, stavo per uscire quando sentì il rumore di un motocarro fermarsi sotto casa mia. Chi poteva essere a quell’ora? Se fossi uscito in quel momento, anche se quasi buio avrebbero potuto vedermi entrare in quella casa, così tornai sui miei passi e mi affacciai al balcone. Ciò che vidi mi lasciò stordito come se avessi ricevuto una legnata in testa: il marito della Signora Carmela, forse perché aveva finito il lavoro anzitempo, o forse perché aveva trovato un passaggio, era tornato prima del previsto e stava andando verso l’uscio di casa. Lei, riconosciuto il fischio che il marito le faceva tutte le volte per farsi aprire la porta, forse sorrpresa si era affacciata al balcone e mi vide: notò il mio disappunto, la disperazione mi si leggeva in viso, ma senza dare nell’occhio, con una rassegnata leggera alzata di spalle si tirò indietro e chiuse le persiane. Inutile dire che in quell’istante sentì il rumore dei miei sogni e dei castelli in aria cadere giù, frantumarsi in mille pezzi, spegnendo così le mie speranze ed anche la mia gran voglia di maccarruna cu sucu di porcu.

I. B.

 

 

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