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Editoriale

ANTONINO BONGIOVANNI

ANTONINO BONGIOVANNI
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di Nicola Belfiore

Ero ragazzino quando in paese, in un certo periodo dell’anno, incominciava a girare la voce: “Rivau Ninu u drummintaru”. Da quel momento si metteva in atto una sorta di “coprifuoco”. Si evitavano i bar frequentati da lui e si faceva di tutto per non incontrarlo. Non capivo perché tutto questo allarmismo per una persona che apparentemente era sempre ben vestita, con accessori costosi,  auto di un certo livello e in mano mazzette di banconote di grosso taglio. La prima volta che l’ho visto da vicino, dopo il consolidato loop del sentito dire traboccante di pregiudizi e luoghi comuni, era allo studio fotografico di mio papà (rifugio peccatorum), quello storico che ha dato il nome, mai ufficializzato, ad un’intera strada: “a vinella i Belfiore”. Nella sua giacca color cammello con un dolcevita leggero bianco sotto, un pantalone nero e delle scarpe lucide a completo del suo vestiario, oggi diremmo outfit, parlava con mio papà mentre fumava una sigaretta. La discussione verteva su una macchina fotografica che aveva portato allo studio per avere indicazioni sul funzionamento. Il suo lessico era particolare ed il tono di voce, a volte strisciante ed altre sopra le righe, a voler sottolineare eventi, situazioni ed aneddoti vissuti nella capitale, in quanto viveva principalmente a Roma. Vedendo in lui una persona distinta mi sorprendevano ancora di più le voci che si diffondevano da sempre in paese e così, appena uscì dallo studio, chiesi spiegazioni a mio papà che, nelle sue articolate, minuziose ed animate descrizioni, mi ha chiarito il concetto, illuminando tutti i miei dubbi e le perplessità: vedi, è una brava persona, conosce diverse lingue e nella sua vita ha fatto tanti soldi, normalmente vive a Roma a l’ombra di locali notturni frequentati da attori, cantanti e gente famosa, con cui ha diverse foto che a volte mostra in giro. Peccato, però, continua mio papà nella descrizione, che ha il vizio di alzare il gomito ed in questi casi diventa un’altra persona, una persona, appunto, da evitare.  Crescendo nella mia adolescenza, ho avuto modo di incontrare più volte ed in diversi frangenti il signor Antonino Bongiovanni, così si chiamava, ed in queste occasioni ho potuto constatare che era sicuramente una persona “scaltra” di quelle che vedono oltre, con un bagaglio di conoscenze, sicuramente mnemonico, ma non certo da sottovalutare. Citava la mitologia greca, parlava di Ulisse e della maga Circe, o di alcuni personaggi della Divina Commedia, come Cerbero, ti spiegava il fenomeno della Fata Morgana e altri simili informazioni, frutto di una vita vissuta in ambienti di livello (come il famoso Piper di Roma) a fianco magari a personaggi influenti e di cultura. Tutti sapevamo, poi, della sua Mercedes Pagoda, con la quale si spostava normalmente tra le vie di Roma, che dava ancora più mistero e fascino alla vita del Bongiovanni. Il suo sorriso era particolare e sapeva di tanta sofferenza riscattata ed ironia di circostanza. Da anni ormai si era ritirato nel nostro paese, preoccupandosi della sua campagna, dove aveva realizzato una piccola ma attrezzata casetta, dell’orto e di quegli interessi che possono distogliere dall’ozio e dalla monotonia di giornate sempre uguali. Aveva messo da parte il vizio del bere, dopo un’importante intervento chirurgico, e trascorreva così le sue giornate da pensionato in un paese, il nostro, che apparentemente sembra tranquillo. Da un anno o poco più, però, le cose erano cambiate e non sempre era presente alla realtà circostante. Era diventato taciturno e non salutava quasi nessuno, si isolava spesso sedendosi ai “delfini” e il suo sguardo si perdeva nel fumo della sigaretta. Lontanissimi i ricordi della giacca color cammello, al suo posto logori indumenti ed un aspetto trasandato di chi non voleva sapere più nulla del mondo che gli girava intorno. Nella solitudine della sua casa, come, purtroppo, succede sempre più spesso, sicuramente per un malore che non ha potuto evitare o risolvere, ha abbandonato questo mondo nel suo ultimo e tragico silenzio.

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