
di Nicola Belfiore
Per la prima volta, il giorno del tuo compleanno, non sarai al nostro fianco. Ricorderemo i tuoi sorrisi e proveremo a sentire il calore dei tuoi abbracci. Nessuna torta per festeggiare l’evento, solo un’immensa tristezza d’animo. Sarà così ogni sedici aprile. Disorientato e sconvolto dalla tua improvvisa scomparsa, mi ritrovo, ancora una volta, a piangere in silenzio. Sono rimasto solo, nella foto di una famiglia felice, a testimoniare un vissuto così lontano ma intenso da respirarlo ogni giorno. Più volte sei caduta sotto i pesanti flagelli della vita ed altrettante volte ti sei rialzata per darci quella forza utile per andare avanti, nonostante tutto. La tua mano nella mia, nei nostri ripetuti percorsi quotidiani, era la conferma continua e rinnovata della mia origine ed esistenza. Una simbiosi rafforzata dagli eventi di una vita per nulla generosa, ma tu c’eri. Tra le tue mani il rosario e dalle tue labbra preghiere sussurrate per chi era sofferente o per chi doveva affrontare le incertezze quotidiane. Poco o nulla hai pregato per te stessa. In un passato che sembra così lontano, ti ricordo bella, spensierata e sorridente, così morbosamente legata alla tua famiglia. Quanto mi piaceva, allora, appoggiare la mia testa sulle tue ginocchia e addormentarmi per qualche istante. Mi manchi terribilmente, come ogni mamma manca al proprio figlio in quel rapporto privilegiato di cui pochi sanno cibarsi. Negli ultimi tuoi respiri ero la con te a stringerti la mano e abbracciarti con forza, nel tentativo vano di vederti tornare in vita. Smarrito in quella solitudine terrificante, più volte ad alta voce ti ho implorato di non lasciarmi, di non abbandonarmi. Avrei voluto riavvolgere il tempo e camminare con te, mano nella mano, per molti anni ancora. Il tuo ultimo respiro mi ha tolto ogni speranza e tutto intorno solo lo sgomento e la soffocante angoscia di averti perduta per sempre.